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  Giorgio Castriota Skanderberg

Giorgio Castriota Skanderberg, rampollo di una delle più importanti famiglie albanesi, proprietaria di uno dei feudi più estesi del paese, è una figura ""quasi"" mitica. Ancora oggi gli arbëreshë ne ricordano le gesta nelle rapsodie e nei canti epici. Il padre Giovanni era un valoroso combattente nelle lotte contro i Turchi. Sconfitto dal sultano Murat II, fu costretto a consegnarli in ostaggio i suoi quattro figli maschi. Secondo il Barlezio (Historia de Vita et Gestis Scanderbegi, Epirotarum principis), Giorgio aveva allora solo nove anni. Dai turchi gli fu imposto il nome di Skanderberg (Iskander = Alessandro e bey = signore). Il sultano gli impartì una solida educazione al fine di destinarlo ad un posto di comando e il giovane si distinse per coraggio e intelligenza nell'arte bellica. Divenne così una delle più potenti spade dell'Islam.

Presto la fama del giovane giunse in Albania, dove vigeva un regime tirannico e dove la miseria regnava sovrana. Raggiunto da alcuni emissari della famiglia, Giorgio venne a conoscenza delle condizioni drammatiche in cui versava il suo paese, nonché della morte del padre, e decise di tornare in patria.

Nel 1443, approfittando del disordine venutosi a creare con la sconfitta subita da Murat II a Nissa, radunò un piccolo esercito di soldati e partì. Con il suo arrivo, comincia per l'Albania un periodo eroico: Kruja, capitale del suo feudo, divenne il caposaldo delle prime organizzazioni indipendentiste. E' da qui che Giorgio diede inizio al processo di unificazione delle forze albanesi contro i Turchi. Riuscì a comporre un esercito di oltre diecimila uomini e nel 1450 sconfisse l'esercito ottomano, guidato da Maometto II. Rifiutò la pace offertagli e la ""piccola"" Albania rimase l'unico paese cristiano in armi contro i musulmani. Alla sua morte, l'eroica cittadella di Kruja cadde in mano ottomana ed ebbe inizio l'esodo verso l'Italia meridionale.